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arte e sentimento

 

Dice Giulio Urbini, autore di un dimenticato ma profondo saggio intitolato Psicologia dell'arte umbra, che i personaggi del Perugino restano isolati, quasi estranei l'uno all'altro, assorti nel loro sogno o nel loro dolore. E, volendo sottolineare il legame che corre tra la pittura del Perugino e la sua terra di origine, aggiunge che anche gli umbri sono poco sociabili, molto chiusi in sé, capaci di stare a lungo in una specie d'assenza mentale e di fantasticaggine, quasi che la solenne diffusa pace del paese inviti l'anima a vagar, come attonita, nelle immensità dell'inconoscibile.

 

Se è vero che il valore dell'arte del Perugino non sta già nell'azione, ma solo nel sentimento, ecco che il nostro San Girolamo, al pari delle numerose versioni confezionate dal maestro pievese, tutte pensate per fotografare il momento in cui il gesto della mortificazione è temporaneamente sospeso per  accedere alla purezza e alla profondità del divino, contribuiscono a fare dell'artista il più grande narratore del sacro.

 

Concordiamo con Corrado Ricci quando scrive che il Vannucci, osando contrapporre opacità di tempera a lucentezze di smalto, unità stretta d'impasto a un lieve sovrapporsi di mezzi toni,  riposi di un lene languore a vibrazioni esultanti, riesce a piegare la sua tecnica, la sua espressività al concetto del dipinto, al carattere delle figure, al loro sentimento. Le quattro tavolette, elementi erratici di un più grande complesso oggi smembrato, rappresentano anche questo.

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